giovedì 14 marzo 2013

Storia Medievale: le invasioni e i regni romano-barbarici (sec. IV-VI)


Tra il quarto e il sesto secolo iniziarono a migrare nel territorio imperiale popolazioni poco conosciute e molto diverse tra loro, che fino a quel momento avevano abitato oltre i confini. Questi popoli erano designati con il nome di Barbari, termine di origine onomatopeica che indicava coloro che non parlavano il greco o il latino, ma lingue incomprensibili e ridicole. Queste tribù non conoscevano in effetti né il greco né il latino, si trattava di tribù eterogenee, senza alcuna identità etnica o culturale comune: riusciranno molto lentamente a costituirsi come popoli.
I rapporti dei barbari con i romani iniziarono già nel II secolo, da quando ad esempio alcuni militari di origine barbara e straniera furono assoldati nell’esercito romano e assunse anche cariche militari importanti. Quando poi nel IV secolo l’impero conobbe un generale indebolimento (militare, economico, amministrativo) queste popolazioni iniziarono a varcare il limes, con l’intento di creare insediamenti stabili e non di compiere razzie, con la consapevolezza di non trovare una forte opposizione militare da parte dei romani. Erano inoltre spinti verso Occidente da altri popoli che a loro volta si spostavano verso Occidente per sfuggire agli Unni, guerrieri nomadi dell’Asia centrale. Tra le tribù più rilevanti c’erano i Goti, nome con cui si indicavano le popolazioni nomadi stanziate intorno al Mar Nero, i quali diedero vita a due raggruppamenti, i Visigoti (Goti occidentali) e gli Ostrogoti (Goti orientali). I Visigoti furono protagonisti di un primo confronto militare con i romani: ottenuta l’autorizzazione dall’imperatore Valente di valicare il confine verso i Balcani, questi iniziarono a devastare la regione dei Balcani meridionali. L’imperatore fu costretto ad affrontarli ad Adrianopoli nel 378 ma venne sconfitto e ucciso. I suoi successori, preso atto di non poter competere militarmente con queste tribù, attuarono una politica di “hospitalitas” e “foederatio”, ossia concessione di terre ai barbari che offrivano fedeltà e aiuto militare all’impero, e un’alleanza in senso stretto in cambio di un compenso. Queste proposte furono viste dai barbari come un tentativo di controllo da parte delle autorità dell’impero, quindi non accettarono i compromessi. Ben presto i Visigoti ricominciarono le devastazioni e nel 410 arrivarono a saccheggiare Roma sotto la guida di Alarico I, dopodiché si stanziarono in Gallia meridionale. Nel frattempo però era crollato anche la frontiera del Reno e altre popolazioni barbare avevano invaso il continente da nord-est: si trattava di Alani, Svevi e Vandali. Questi dapprima si scontrarono con Alemanni e Franchi, foederati dell’impero, che li costrinsero a occupare solo la penisola iberica. Qui si erano però stanziati i Visigoti, temibili avversari molto forti militarmente, che riuscirono a tenere per sé gran parte della Spagna e rilegarono gli Svevi nell’attuale Galizia, gli Alani in Portogallo e i Vandali nell’africa nord-occidentale. Contestualmente anche i territori settentrionali dell’impero furono occupati da nuovi popoli, gli Juti, gli Angli e i Sassoni, mentre l’Europa centrale fu nuovamente insidiata, stavolta dagli Unni guidati da Attila, che giunsero in Italia e furono fermati dall’opera di conversione di Papa Leone I, o molto probabilmente pagati per ottenere una tregua.
Quando Odoacre depose l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo, i territori occidentali dell’impero era in gran parte sotto il controllo dei barbari. Gli imperatori d’Oriente tentarono in ultimo di riconquistare alcuni territori e per questo Zenone inviò in Italia, come foederati, gli Ostrogoti guidati da Teodorico.
In tutti i territori conquistati i barbari erano in minoranza rispetto alla popolazione autoctona. Il problema della convivenza fu risolto mantenendo le tradizioni giuridiche e amministrative precedenti, affiancate alle tradizioni barbariche. Il processo di reciproca acculturazione è simboleggiato anche dal fatto che le attività amministrative rimasero nelle mani dei romani mentre l'attività militare divenne prerogativa dei barbari. Il re, il cui potere era considerato sacrale, era depositario del banno (il potere coercitivo assoluto) e rappresentava per lo più una guida militare, ed era eletto dai cittadini che partecipavano alla vita militare, i soli considerati liberi.
I franchi che si erano stanziati nella Gallia centro-settentrionale erano un insieme di tribù sparse che godevano della foederatio romana. Capeggiati dal re Clodoveo (della famiglia dei merovingi, discendenti del leggendario Meroveo) stabilirono dei rapporti stretti con la chiesa di Roma: il re si convertì al cristianesimo e si fece difensore della chiesa. Dopo la sua morte il regno franco venne spartito tra gli eredi come se fosse un bene patrimoniale. In Britannia, gli anglosassoni si stabilirono nella parte orientale mentre i britanni si ritirarono nella parte occidentale. In Italia, per volontà bizantina, erano giunti gli ostrogoti. Teodorico ricoprì il doppio ruolo di rex (legittimato dalla vittoria su Odoacre) e di comandante sotto l'autorità imperiale. Con la sua morte si accese la lotta per la successione, di cui l'imperatore Giustiniano approfittò per riappropriarsi della penisola italiana. Il regno dei visigoti in Spagna durò fino all'invasione islamica dell'VIII secolo. Essi instaurarono una società multietnica e religiosamente tollerante, a differenza dei vandali che perseguitarono i non ariani. Il regno dei vandali cadde per mano dei bizantini nel V secolo.

Storia Medievale: il cristianesimo, le chiese episcopali e il monachesimo delle origini (sec. IV-VI)


All’inizio il cristianesimo fu solo una delle numerose religioni salvifiche che si diffusero tra le classi aristocratiche dell’impero romano. Le prime comunità cristiane comparirono tra il I e il III secolo, erano composte dai laici fedeli e dal gruppo sacerdotale, organizzato gerarchicamente in vescovi (al vertice, figura dotata di autorevolezza personale e religiosa), diaconi e preti. Nei primi tempi l’adesione era più che altro una scelta aristocratica, elemento che conferirà più tardi una particolare autorevolezza alle gerarchie ecclesiastiche cristiane, con conseguente loro inserimento nelle amministrazioni pubbliche. È a partire dal IV secolo che la religione cristiana inizia ad avere un ruolo centrale, quando prima diventa religione di Stato con l’Editto di Costantino (313), poi culto obbligatorio con Teodosio e il suo Editto di Tessalonica (380). Dal V secolo partì dalle città un’intensa opera di evangelizzazione delle campagne, attraverso la fondazione di chiese di campagna (pievi) controllate dal clero cittadino. Nasce l’organizzazione territoriale in diocesi, che è il territorio sottoposto all’autorità di ciascun vescovo. In questo senso l’autorità dei vescovi e il sistema delle diocesi viene visto come tramite per la conservazione del territorio in età tardo-antica e come elemento che salvaguardò in quel periodo la sopravvivenza delle città. L’opera di evangelizzazione coinvolse presto anche le popolazioni barbare, ormai stanziate in diversi territori imperiali. Tale compito fu intrapreso soprattutto dai monaci, che strategicamente mirarono a convertire prima i capi militari, i re, presto imitati nella nuova fede anche dai sudditi. Nel momento in cui la religione cristiana originaria entrò in contatto con le diverse religioni popolari o barbare, essa si contaminò di elementi nuovi secondo un processo di acculturazione reciproca: entrarono a far parte della religione cristiana elementi di religiosità popolare come il culto dei santi o delle reliquie, o elementi culturali germanici come la forza, la violenza, la figura dei martiri e quella del miles dei, il soldato di dio (terminologie e aspetti germanici nel cristianesimo). Nel corso del VI secolo gran parte delle popolazioni germaniche furono convertite alla forma ariana del culto cristiano. L’arianesimo prende il nome da Ario, sacerdote alessandrino che sosteneva che Gesù non avesse lo stesso grado di divinità di Dio ma fosse a lui sottoposto. La dottrina fu condannata al concilio di Nicea ma ebbe grande diffusione, dovuta anche semplicemente al fatto che fu la prima dottrina cristiana che i barbari conobbero, non ad una questione di preferenza.
Il concilio di Nicea, assemblea di vescovi convocata da Costantino nel 325, oltre a condannare l’arianesimo cercò di definire la natura storica e divina di Cristo, anche perché la questione dottrinale sulla natura di Cristo divideva già le grandi diocesi orientali e occidentali. Ad Antiochia si dava importanza alla natura umana di Cristo, ad Alessandria quella divina. Il concilio di Calcedonia del 451 trovò un compromesso tra queste due dottrine (doppia natura di Cristo). L'imperatore Zenone nel 482 emanò un editto in cui sanciva l'abbandono del monofisismo da parte della chiesa di Costantinopoli, editto mal tollerato da Siria e Egitto che erano monofisisti. Nel 544 l'imperatore Giustiniano, con un altro editto, riabbracciò il monofisismo ed escluse il nestorianesimo con l'intento di trovare l'appoggio di Siria e Egitto per la campagna di riconquista delle regioni mediterranee e riportarle sotto il controllo dell'impero. Tuttavia i vescovi occidentali non accolsero il nuovo editto. In Occidente la sede di Roma riuscì, nei secoli successivi a guadagnarsi la supremazia sulle grandi diocesi concorrenti. Ad Oriente, invece, la sede di Costantinopoli non riuscì ad ottenere lo stesso risultato.
Il monachesimo è un fenomeno che si sviluppa successivamente all’evangelizzazione delle città, dapprima in Oriente, poi in forme più moderate in Occidente. Si trattava nella forma originale di una scelta individuale di eremitismo, dovuta ad un sostanziale rifiuto del mondo ed ad un bisogno di redenzione attraverso il sacrificio e l’ascesi. In Occidente il monachesimo ebbe forme più moderate dovute anche ad una certa condanna di eccessivo individualismo e/o esibizionismo di tale scelta, perciò si manifestò con il cenobitismo, la convivenza dei monaci in un monastero sulla base di una “regola” comune che regolava ogni aspetto della vita quotidiana, dalla preghiera al lavoro, all’abbigliamento, all’alimentazione. I primi gruppi monastici occidentali si formarono in Gallia e in Italia, tra il V e il VI secolo il fenomeno dilagò e culminò con la fondazione del monastero di Montecassino ad opera di Benedetto da Norcia (529). La Regola di Benedetto non condannava l’eremitismo né la scelta ascetica più estrema (isolamento, digiuno, preghiera e penitenza). Anche in Irlanda il monachesimo ebbe grande richiamo, caratterizzato da una regola molto più rigida di quella benedettina. I monaci irlandesi intrapresero una grande opera di evangelizzazione nel continente, fondarono molti monasteri ed ebbero grande presa presso le aristocrazie francesi e longobarde.

Storia Medioevale: la metamorfosi del mondo romano e la fine dell’impero in Occidente (sec. III-V)


Nei due secoli che precedettero la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476) si realizza quella che è stata definita “rivoluzione tardo romana”. Verso il 200 l’Impero Romano si estendeva su tutto il Mediterraneo, a ovest in Europa Occidentale e in Britannia, a est fino in Mesopotamia, e aveva una popolazione di circa 50 mila abitanti. Terminato il periodo delle guerre di conquista, l’Impero del III secolo doveva fare i conti con le minacce esterne dei Barbari (balbettanti che non conoscevano il greco. Quando i greci capirono che esistevano popoli ugualmente civilizzati anche se non capivano il greco, il termine cambiò connotazione e iniziò a significare semplicemente stranieri). Roma reagì costruendo mura difensive, il governo centrale si occupò di riorganizzare l’esercito e di inasprire la pressione fiscale per sostenere le spese di guerra. L’aristocrazia senatoria, la classe che in quel momento governava l’Impero insieme all’imperatore, fu sostituita o integrata dalla classe militare anche proveniente dai ceti meno elevati (ricambio sociale, una nuova società di liberti, figli di liberti o di pastori). Si tratta sicuramente di un periodo di crisi, le invasioni barbariche diventano sempre più frequenti, Roma viene saccheggiata dai Visigoti (410) e dai Vandali (455), l’esercito acquista sempre più potere e sono i soldati che eleggono imperatore il loro comandante, elementi germanici si infiltrano nell’esercito ormai, l’aumento delle tasse aveva stremato la popolazione e provocato una vera crisi economica. Nel 476 l’Impero è lacerato da conflitti interni ed esterni, Odoacre depone l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo e di fatto segna la fine dell’impero Occidentale. La capitale si sposta a Costantinopoli nel 330, Costantino.

Appunti sparsi di Storia Medievale: conservazione e osservazioni sull'uso delle fonti storiche


Conservazione e pubblicazione delle fonti
Le biblioteche e gli archivi sono i luoghi che si prestano alla conservazione delle fonti intenzionali (narrative o documentarie).
 Le biblioteche possono essere pubbliche o riservate ad una certa categoria di lettori, hanno una storia che risale a prima di Cristo e furono create intenzionalmente per scopi culturali. Nelle biblioteche si conservano non solo opere a stampa, ma anche opere manoscritte, epistolari, carteggi, disegni ecc. elencati in almeno un catalogo, per autori e per soggetto (lo schedario a soggetto non ci darà mai una bibliografia esaustiva. In Italia, la Biblioteca Nazionale di Firenze e la Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma ricevono  una copia per diritto di stampa di ogni libro pubblicato in Italia e ne pubblica annualmente un elenco nel Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa. Per i manoscritti invece abbiamo la grande collezione degli Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia.
Gli archivi hanno una storia ancora più antica di quella delle biblioteche (da quando esiste la scrittura), conservano da sempre documenti e atti di varia natura, provenienza ed epoca, privati o appartenenti ad enti e associazioni. Gli archivi possiedono degli inventari da consultare in loco, il Ministero per i beni culturali e ambientali ha fornito una Guida generale degli archivi di Stato per facilitare la ricerca di atti e documenti.
E’ abbastanza impossibile avere un repertorio di fonti preterintenzionali, ma per quanto riguarda quelle narrative e documentarie (intenzionali), esistono repertori di vario tipo. Per l’età medioevale famoso repertorio di fonti è il Potthast, Bibliotheca historica Medii Aevi, 1986 Berlino. Si tratta di un repertorio di fonti narrative edite e inedite relative all’Occidente. Successivamente alla sua pubblicazione sono state tante le edizioni di fonti edite e inedite, e perciò l’opera risulta superata. Negli ultimi anni l’Istituto storico italiano per il Medioevo ha lavorato ad una nuova edizione, comunemente definita Nuovo Potthast (Repertorium fontium historiae Medii Aevi). Per la storia moderna e contemporanea non c’è nulla di simile al Potthast. Questa mancanza è giustificata dal fatto che gli studi di storia moderna e contemporanea sono sicuramente più giovani e meno organizzati degli studi di storia medioevale. Negli ultimi anni l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea ha lavorato ad una collezione di fonti per l’età moderna intitolata Fonti per la storia d’Italia.

Qualche osservazione sull’uso e la critica delle fonti
Una testimonianza può provare un fatto, ma la mancanza di testimonianza non prova la mancanza del fatto.
Prima di credere o non credere ad una fonte dobbiamo capire se dice la verità, e se mente capire perché mente. Anche le alterazioni della verità possono avere valore di testimonianza.
Talvolta la verità è in un solo documento, contraddetto da tutti gli altri. La concordanza di certe fonti non è sempre prova di veridicità.
Talvolta è la fonte più tarda che conserva una tradizione più antica.
Non bisogna correre il rischio di generalizzare, estendere i dati relativi ad una persona o ad un luogo ad altre persone e altri luoghi in quello stesso momento storico.
Anche il documento falso è una testimonianza, fa intendere interessi, mentalità dell’epoca in cui è stato redatto. Tra le fonti documentarie non possono mancare i falsi, un prontuario per la loro identificazione non esiste e bisogna perciò affidarsi al confronto e allo studio incrociato con gli altri documenti per verificare le incongruenze e saperle spiegare: l’aver individuato un falso non è sinonimo di maggiore conoscenza storica se non si riesce a scoprire la causa dell’errore, del falso.


Appunti sparsi sulla Storia Medievale: le fonti e la loro classificazione


Guida allo studio della storia medioevale e moderna

Considerazioni preliminari
L’indagine storica si basa sulle fonti, che sono le testimonianze relative ai fatti che si vogliono accertare. La distribuzione quantitativa e qualitativa delle fonti nei grandi periodi storici è ineguale: per l’età antica e l’età medioevale si ha un’estrema scarsità di fonti, per l’età moderna e contemporanea le fonti sono sicuramente più numerose. Da questo dato di fatto deriva un diverso comportamento dello storico: colui che è alle prese con la storia antica o altomedioevale deve stare attento alle minime notizie e colmare le lacune della tradizione scritta utilizzando le fonti indirette, mentre per i tempi più recenti lo storico deve saper scegliere tra più fonti sincrone parallele e procedere ad una cernita del materiale. Sicuramente sia la scarsità di fonti che la sovrabbondanza costituiscono una difficoltà per lo storico.
Classificazione delle fonti
Benedetto Croce polemizza nella Teoria e storia della storiografia contro la classificazione delle fonti, affermando che le testimonianze sono tutte ugualmente morte, quindi non diverse tra loro e non classificabili. Ma chi lavora sulla storia può, anzi deve, avere un’idea precisa del materiale su cui lavora e del metodo con cui lo deve fare. 


Le fonti intenzionali: testimonianze vere e proprie, volontarie, intenzionali, dirette a dare notizia di certi fatti, ad uso ed informazione dei posteri con intendimento storico.
La tradizione orale, che consiste nella trasmissione diretta di notizie da uomo a uomo, sta alla base delle fonti narrative. La sua importanza deriva da questo, dal fatto che dietro tutte le fonti narrative c’è una testimonianza diretta che è stata messa per iscritto.
La tradizione scritta  si presenta sotto forma di narrazione o di documento:
- le narrazioni sono fonti scritte, racconti che si propongono di tramandare i fatti. Nel Medioevo troviamo le cronache ( racconti ordinati cronologicamente), gli annali (ordinari cronologicamente ma più succinti delle cronache) e le biografie (dei Papi, dei Santi, dei grandi imperatori, es. la vita di Carlo Magno scritta da Eginardo). Nell’età moderna compaiono nuovi tipi di fonti narrative, come le memorie, i diarii personali, le autobiografie, i giornali di viaggio, le opere storiche vere e proprie e i giornali;
- i documenti sono scritture di qualsiasi tipo che si riferiscono a interessi pubblici (patti di alleanza, trattati di commercio o di pace, i decreti delle autorità, le leggi di Stato e Chiesa, i registri degli uffici pubblici, laici ed ecclesiastici) o privati.
Le fonti preterintenzionali o avanzi: resti di varia natura la cui funzione originaria non era quella di tramandare un fatto di interesse storico, ma di svolgere una loo funzione nel momento in cui sono stati creati. Per il solo fatto che esistono e si sono conservati, valgono come fonte storica.
- gli avanzi manufatti, cioè ciò che è stato creato dall’uomo, le mura di una città, l’organizzazione dello spazio urbano, la fattura degli edifici pubblici, le monete, le rappresentazioni artistiche (sculture, pitture, miniature), sigilli, gioielli, armi, stoffe. Per lo studio dell’età moderna e contemporanea, vista l’abbondanza di fonti scritte intenzionali o preterintenzionali, gli avanzi costituiscono materiale complementare. Per lo studio dell’antichità e dell’alto medioevo sono sicuramente elementi molto preziosi per gli storici;
- gli avanzi linguistici/lessicali, rivelano componenti etnico-culturali nella storia dei popoli. Un esempio è la toponomastica, che rivela nomi di posti e città che richiamano la toponomastica romana, araba ecc., ma anche l’onomastica individuale.
- le tradizioni religiose e popolari, feste particolari o riferite a certi santi piuttosto che ad altri, liturgie, ma anche usi, credenze, fiabe, giochi infantili, leggende, proverbi posso essere avanzi significativi se correttamente interpretati;
- gli avanzi scritti, opere scientifiche e letterarie nelle quali si riflette l’ambiente in cui sono sorte, trattati di medicina, di botanica di retorica, la chansons de geste, la Divina Commedia, il Decamerone.  Per i tempi più recenti rientrano anche i films.
Alcune fonti possono racchiudere la natura intenzionale e quella preterintenzionale nello stesso tempo, e d’altra parte ogni testimonianza intenzionale ha in sé elementi preterintenzionali. Un esempio fatto nel testo è quello dell’arazzo di Bayeux, che rappresenta la conquista normanna dell’Inghilterra con episodi accompagnati da scritte (è semplicemente un arazzo con scopo ornamentale o nasconde intenti di narrazione storica?).
Possibilità di errore nella testimonianza diretta
Sicuramente tale possibilità esiste e viene sperimentata in molti casi. Bisogna distinguere l’alterazione volontaria (in malafede) dall’alterazione involontaria (errori dovuti a distrazione, stati di turbamento o eccitazione).
Possibilità di errore nella testimonianza scritta
Nel momento in cui vengono trascritte, la testimonianza diretta e quella orale si fissano, creano una nuova verità e forse possono avere conseguenze più gravi  rispetto ad un altro tipo di fonte. Con la testimonianza scritta entrano inoltre in gioco altre possibilità di errori: errore di interpretazione di altro materiale scritto utilizzato come fonte, citazioni errate, errori di traduzione, omissioni, errori di scrittura.
Fino all’introduzione della stampa, le fonti scritte erano manoscritte. Perciò uno studioso di storia medioevale che vuole utilizzare un manoscritto come fonte sicuramente deve chiedersi se si trova di fronte ad un autografo o davanti ad una copia, se esistono altre copie e provare a capire quale tra le copie si avvicina di più all’archetipo, all’originale.
Una caratteristica propria delle fonti scritte dal 1455 (invenzione della stampa, Gutenberg) in poi è la possibilità che esse abbiano subito censure o tagli. Fino al 1789, anno in cui si ottiene la libertà di stampa con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, la censura, introdotta già nel 1480 a Venezia colpiva opere considerate pericolose  o perniciose dal punto di vista religioso, politico o morale. Questo controllo da parte delle autorità portò alla diffusione di molte copie clandestine delle opere in questione, opuscoli e fogli volanti che oggi fanno parte delle fonti in cui uno storico può imbattersi. Lo studioso modernista, in ogni caso, nel momento in cui vuole utilizzare come fonte un’opera a stampa di cui esiste una sola edizione può farlo senza esitare quando si tratta di un’opera recente, ma nel caso di un’opera antica (pubblicata quando non c’era la libertà di stampa), deve porsi qualche problema. Ossia se si tratta dell’originale dell’autore e se è stata colpita dalla censura.
Per quanto riguarda opere scritte straniere, invece, conviene di regola affidarsi alla edizione in lingua originale, in quanto le traduzioni potrebbero essere viziate, inesatte o non approvate dall’autore.

Le fonti narrative sono considerate dagli storici non soltanto per quello che narrano ma perché consentono di intuire il contesto in cui sono nate e sono state scritte, l’orientamento culturale dell’autore, i suoi ideali politici, religiosi.
Per il Medioevo, si parla di narrazioni in presenza di cronache, annali e biografie, ma anche agiografie e leggende storiche, due fonti molto difficili da verificare con documenti e avanzi e quindi molto spesso considerati poco attendibili.
Nell’età moderna la storiografia ufficiale nasce, si sviluppa e assume una sua importanza. I sovrani e i capi di stato assumono uomini capaci di scrivere la storia, presentandola sotto la luce più favorevole al sovrano stesso. La storiografia libera, al contrario di quella ufficiale aulica, si caratterizzò per una maggiore vivacità anche nei commenti agli accadimenti. Nel frattempo le narrazioni storiche si arricchiscono e crescono di numero, consentendo allo storico moderno di avere a sua disposizione una enorme quantità di fonti narrative sincrone. Questo facilita sicuramente il suo lavoro.
Sempre in riferimento all’ età moderna e contemporanea fonti tipiche sono le memorie, i diarii, i ricordi di viaggio e le autobiografie, tipicamente narrazioni di chi ha vissuto i fatti in prima persona, da testimone oculare. Gli storici a volte hanno guardato con diffidenza a questo tipo di fonti, preoccupandosi di accertare i fatti e di capire perché l’autore ha scritto quelle memorie, prima di prenderle in considerazione. Potrebbe benissimo accadere di trovarsi di fronte alla narrazione di un autore che avendo vissuto in prima persona certi avvenimenti ne voglia lasciare testimonianza ai posteri per puro interesse storico, ma raramente si verifica questo. Molto spesso i memorialisti avevano l’intenzione di trasmettere il loro punto di vista sulla storia, di influenzare i lettori e di istruirli sulla visione stessa degli eventi e per questo erano spesso portati a deformare la rappresentazione dei fatti. Tra queste fonti, forse i diari sono maggiormente attendibili, in quanto non scritti e pensati per essere pubblicati.
La memorialistica europea nasce in Francia alla fine del XV secolo. Dopo il grande successo ottenuto dalle Memoires di Filippo di Commynes, diplomatico al servizio di Luigi XI e Carlo VIII, la memorialistica diventa un genere storico-letterario largamente coltivato. La tradizione memorialistica degli uomini politici francesi continua fino al XX secolo.  Per la Germania, il momento aureo della memorialistica si ha sicuramente con Federico II, autore di memorie politico militari. In Inghilterra nacque al tempo della prima rivoluzione inglese, ricordiamo le memorie di Winston Churchill ai giorni nostri. In Spagna e in Italia la letteratura memorialistica non è mai stata particolarmente brillante. I grandi scrittori come Dante, Petrarca e Alfieri fornirono elementi storici di sfondo alle loro autobiografie, ma nulla di più. Da ricordare Diario delle cose d’Italia di Mecatti che prese parte alla guerra dei Borboni per la conquista del Regno di Napoli. La penuria italiana è probabilmente dovuta ad una ambiente politico-culturale poco vivace e totalmente offuscato dalla potenza dei Paesi confinanti, dalla scarsa risonanza delle questioni religiose. Inoltre i politici e gli uomini di stato che vogliono esprimere il loro punto di vista sulla storia difficilmente si affidano alla memorialistica, preferendo forme più distaccate e aderenti alla tradizione classica (Il principe di Machiavelli, Storia di Guicciardini). Una certa ripresa si avrà con l’occupazione francese del 1796, momento in cui la vita politica italiana conosce un ritmo più intenso.
I giornali sono sicuramente una fonte tipica dell’età moderna e soprattutto contemporanea. Registrando fatti e avvenimenti per informare i loro lettori, forniscono materiale prezioso per gli storici. Il giornale resta comunque un concetto moderno, almeno così come lo intendiamo noi (ossia raccolta di notizie e commenti alle notizie). Prima di arrivare ad essere quello che è il giornale ha conosciuto dei modelli predecessori: durante il medioevo la trasmissione delle notizie era principalmente orale, tra viandandi, o affidata a corrispondenza epistolare. Con lo sviluppo dei grandi traffici commerciali gli scambi di notizie si intensificarono e con il tempo insieme a notizie di natura prettamente commerciale, i mercanti iniziarono a scambiarsi anche notizie politiche, visto che la politica stessa poteva influire sul mercato. Parallelamente i sovrani cercarono informatori segreti e stipendiati per essere sempre aggiornati.
Alla fine del ‘400 si arriva alla redazione di notiziari compilati da specialisti, forniti poi ai loro lettori abbonati. Questa prima forma di giornale prende il nome di “avviso”. Gli avvisi erano foglietti scritti a mano su quattro facciate, molto ricercati da diplomatici, mercanti, uomini si Stato. Presentavano le notizie in modo breve e sintetico, senza alcun commento. Esistevano poi gli “avvisi a stampa” che davano notizie meno urgenti su un avvenimento in particolare (terremoti, scoperte geografiche, epidemie, delitti), descrivendo il tutto in modo più dettagliato e particolareggiato. Spesso provenivano anche dall’estero e riportavano notizie di politica ed economia estera: nel caso italiano alcune città diventavano centro di raccolta e smistamento delle notizie estere a seconda della loro posizione geografica (Venezia per le notizie dall’Oriente, Napoli per quelle dall’Africa, Milano per quelle della Germania e Genova per la Spagna).
Le notizie fornite dai primi notiziari suscitavano sicuramente commenti da parte dell’opinione pubblica, ma questi non poteva essere ufficializzati nel notiziario stesso. Per questo trovano spazio in altri contesti, nelle piazze (ad esempio le pasquinate, a Roma, in via Pasquino/Piazza Navona) o nella letteratura satirica in versi. L’origine del giornale che noi conosciamo è sicuramente connessa a questa letteratura polemica e di propaganda. Le prime gazzette settimanali (gazzetta, termine italiano che deriva dal nome di una moneta veneziana, la gazzetta, che corrispondeva al prezzo di un foglietti di avvisi) che presentavano anche commenti comparvero in Inghilterra al tempo della prima rivoluzione e furono immediatamente ostacolate dal Parlamento, che introdusse molte censure in vigore fino alla fine del 1600. Nel continente bisogna attendere la Rivoluzione francese per leggere i primi notiziari commentati.
Tornando all’utilità del giornale e dei suoi antenati come fonte storica, bisogna ammettere che gli avvisi risultano poco utili allo storico, per la loro forma eccessivamente essenziale e scheletrica. Gli avvenimenti sono raccontati meglio da altre fonti e inoltre gli avvisi non consentono nemmeno di esplorare il contesto della notizia stessa. I giornali moderni, quelli nati dopo la Rivoluzione francese, risultano invece una importante fonte storica. Nella maggior parte dei casi le notizie sono attendibili, attinte dagli uffici stampa governativi o di enti ufficiali, le notizie false sono immediatamente smentite e scartate quindi senza il rischio che possano indurre in errore lo storico. La presenza del commento alle notizie, dell’espressione del punto di vista consentono di conoscere sicuramente l’opinione pubblica del Paese. Per ottenere risultati, lo storico dovrà però considerare più punti di vista e quindi più giornali.
Le fonti documentarie hanno il compito di integrare le fonti narrative, che come sappiamo vanno verificate. Data l’enorme quantità di fonti documentarie, le fonti narrative costituiscono il punto di partenza per iniziare a lavorare su di esse. Essenzialmente rientrano in questa categoria gli atti e i documenti, diversi tra loro in quanto gli atti sono le scritture in cui si registra l’attività di un ufficio, mentre il documento è l’atto finale dell’attività. Atti e documenti sono perfettamente aderenti alla realtà proprio perché il loro scopo è registrare la realtà, non narrare, e per questo presentano una maggiore certezza rispetto a tutte le altre fonti e sono pienamente meritevoli di fede. A seconda del periodo storico di riferimento esistono fonti documentarie tipiche, mentre alcune caratterizzano indistintamente tutte le epoche.
Per quanto riguarda il Medioevo, assumono grande importanza, vista la struttura sociale e politica basata su sovrano, suoi rappresentanti, vescovi e abati, i diplomi (documenti emessi in nome del sovrano per concedere benifici, diritti e proprietà a singoli o collettività), carte di franchigia (concessi dal sovrano a grandi signori laici o ecclesiastici, agli abitanti di una città o villaggio per affrancarli da certi obblighi, definire diritti e doveri) i necrologi (elenco delle persone defunte per cui monasteri e chiese pregavano abitualmente, consentono di conoscere notizie relative alla data e alle circostanze della morte), le iscrizioni sepolcrali e commemorative, le matricole (elenchi degli iscritti ad associazioni religiose o artigiane)gli estimi (elenco dei beni posseduti da cittadini e relative tasse da pagare per quei beni), le leggi (i grandi codici come il Corpus Iuris Iustinianei del 534, le leggi barbariche come l’editto di Rotari e l’editto di Teoderico, i Capitolari carolingi, gli Statuti dei comuni italiani, il Curpus Iuris canonici). Nel Medioevo, gli atti sono molto scarsi rispetto ai documenti, fondamentalmente perché assumeva maggiore importanza il documento finale e la parte che ora è affidata agli atti era discussa verbalmente, mettendo per iscritto solo alla fine. Inoltre, i documenti di natura privata relativi a quest’epoca provengono per la maggior parte da amministrazioni ecclesiastiche, che erano in condizioni molto più favorevoli rispetto agli enti laici per conservare i propri archivi, tanto che molti laici affidano ai conventi i documenti da conservare. Le carte laiche arrivano con i registri notarili, quando lo Stato regolamenta l’attività dei notai obbligandoli a fornire copia di tutti gli atti e i documenti che rogano per i loro clienti.
Per l’età moderna e contemporanea, molti dei documenti medioevali ancora in uso sono presi in considerazione ma subentrano nuove categorie di documenti:  le corrispondenze diplomatiche (preziose perché ci permettono di conoscere situazioni politiche interne), gli atti delle assemblee parlamentari, i registri doganali, registri anagrafici, libri dei battezzati e dei matrimoni, archivi parrocchiali, archivi di banche e camere di commercio, fondamentali per la storia economica e sociale. Ci sono poi i nuovi tipi di testimonianza offerti dalla tecnica moderna: la fotografia, la cinematografia, la registrazione sonora, i telegiornali, che per loro natura potrebbero avere bisogno di una verifica incrociata con altre fonti prima di essere considerate attendibili.
Le scienze ausiliarie
Tra le fonti preterintenzionali utilizzate dallo storico compaiono spesso anche i risultati conseguiti da altre discipline considerate ausiliarie della storia, non di certo inferiori, come la geografia storica, l’archeologia, l’urbanistica, la storia dell’arte, la numismatica (monete), la sigillografia (sigilli), l’araldica (stemmi), la statistica, la demografia, l’economia e la sociologia (per l’età moderna e contemporanea).