Guida allo studio della storia
medioevale e moderna
Considerazioni preliminari
L’indagine storica si basa sulle fonti, che sono le testimonianze relative ai fatti che si vogliono accertare. La distribuzione quantitativa e qualitativa delle fonti nei grandi periodi storici è ineguale: per l’età antica e l’età medioevale si ha un’estrema scarsità di fonti, per l’età moderna e contemporanea le fonti sono sicuramente più numerose. Da questo dato di fatto deriva un diverso comportamento dello storico: colui che è alle prese con la storia antica o altomedioevale deve stare attento alle minime notizie e colmare le lacune della tradizione scritta utilizzando le fonti indirette, mentre per i tempi più recenti lo storico deve saper scegliere tra più fonti sincrone parallele e procedere ad una cernita del materiale. Sicuramente sia la scarsità di fonti che la sovrabbondanza costituiscono una difficoltà per lo storico.
Classificazione
delle fontiL’indagine storica si basa sulle fonti, che sono le testimonianze relative ai fatti che si vogliono accertare. La distribuzione quantitativa e qualitativa delle fonti nei grandi periodi storici è ineguale: per l’età antica e l’età medioevale si ha un’estrema scarsità di fonti, per l’età moderna e contemporanea le fonti sono sicuramente più numerose. Da questo dato di fatto deriva un diverso comportamento dello storico: colui che è alle prese con la storia antica o altomedioevale deve stare attento alle minime notizie e colmare le lacune della tradizione scritta utilizzando le fonti indirette, mentre per i tempi più recenti lo storico deve saper scegliere tra più fonti sincrone parallele e procedere ad una cernita del materiale. Sicuramente sia la scarsità di fonti che la sovrabbondanza costituiscono una difficoltà per lo storico.
Benedetto Croce polemizza nella Teoria e storia della storiografia contro la classificazione delle fonti, affermando che le testimonianze sono tutte ugualmente morte, quindi non diverse tra loro e non classificabili. Ma chi lavora sulla storia può, anzi deve, avere un’idea precisa del materiale su cui lavora e del metodo con cui lo deve fare.
Le fonti intenzionali: testimonianze vere e proprie, volontarie,
intenzionali, dirette a dare notizia di certi fatti, ad uso ed informazione dei
posteri con intendimento storico.
La tradizione orale, che consiste nella trasmissione diretta di notizie da uomo a uomo, sta alla base delle fonti narrative. La sua importanza deriva da questo, dal fatto che dietro tutte le fonti narrative c’è una testimonianza diretta che è stata messa per iscritto.
La tradizione scritta si presenta sotto forma di narrazione o di documento:
- le narrazioni sono fonti scritte, racconti che si propongono di tramandare i fatti. Nel Medioevo troviamo le cronache ( racconti ordinati cronologicamente), gli annali (ordinari cronologicamente ma più succinti delle cronache) e le biografie (dei Papi, dei Santi, dei grandi imperatori, es. la vita di Carlo Magno scritta da Eginardo). Nell’età moderna compaiono nuovi tipi di fonti narrative, come le memorie, i diarii personali, le autobiografie, i giornali di viaggio, le opere storiche vere e proprie e i giornali;
- i documenti sono scritture di qualsiasi tipo che si riferiscono a interessi pubblici (patti di alleanza, trattati di commercio o di pace, i decreti delle autorità, le leggi di Stato e Chiesa, i registri degli uffici pubblici, laici ed ecclesiastici) o privati.
La tradizione orale, che consiste nella trasmissione diretta di notizie da uomo a uomo, sta alla base delle fonti narrative. La sua importanza deriva da questo, dal fatto che dietro tutte le fonti narrative c’è una testimonianza diretta che è stata messa per iscritto.
La tradizione scritta si presenta sotto forma di narrazione o di documento:
- le narrazioni sono fonti scritte, racconti che si propongono di tramandare i fatti. Nel Medioevo troviamo le cronache ( racconti ordinati cronologicamente), gli annali (ordinari cronologicamente ma più succinti delle cronache) e le biografie (dei Papi, dei Santi, dei grandi imperatori, es. la vita di Carlo Magno scritta da Eginardo). Nell’età moderna compaiono nuovi tipi di fonti narrative, come le memorie, i diarii personali, le autobiografie, i giornali di viaggio, le opere storiche vere e proprie e i giornali;
- i documenti sono scritture di qualsiasi tipo che si riferiscono a interessi pubblici (patti di alleanza, trattati di commercio o di pace, i decreti delle autorità, le leggi di Stato e Chiesa, i registri degli uffici pubblici, laici ed ecclesiastici) o privati.
Le fonti preterintenzionali o avanzi: resti di varia natura la cui funzione
originaria non era quella di tramandare un fatto di interesse storico, ma di
svolgere una loo funzione nel momento in cui sono stati creati. Per il solo fatto che esistono e si
sono conservati, valgono come fonte storica.
- gli avanzi manufatti, cioè ciò che è stato creato dall’uomo, le mura di una città, l’organizzazione dello spazio urbano, la fattura degli edifici pubblici, le monete, le rappresentazioni artistiche (sculture, pitture, miniature), sigilli, gioielli, armi, stoffe. Per lo studio dell’età moderna e contemporanea, vista l’abbondanza di fonti scritte intenzionali o preterintenzionali, gli avanzi costituiscono materiale complementare. Per lo studio dell’antichità e dell’alto medioevo sono sicuramente elementi molto preziosi per gli storici;
- gli avanzi linguistici/lessicali, rivelano componenti etnico-culturali nella storia dei popoli. Un esempio è la toponomastica, che rivela nomi di posti e città che richiamano la toponomastica romana, araba ecc., ma anche l’onomastica individuale.
- le tradizioni religiose e popolari, feste particolari o riferite a certi santi piuttosto che ad altri, liturgie, ma anche usi, credenze, fiabe, giochi infantili, leggende, proverbi posso essere avanzi significativi se correttamente interpretati;
- gli avanzi scritti, opere scientifiche e letterarie nelle quali si riflette l’ambiente in cui sono sorte, trattati di medicina, di botanica di retorica, la chansons de geste, la Divina Commedia, il Decamerone. Per i tempi più recenti rientrano anche i films.
- gli avanzi manufatti, cioè ciò che è stato creato dall’uomo, le mura di una città, l’organizzazione dello spazio urbano, la fattura degli edifici pubblici, le monete, le rappresentazioni artistiche (sculture, pitture, miniature), sigilli, gioielli, armi, stoffe. Per lo studio dell’età moderna e contemporanea, vista l’abbondanza di fonti scritte intenzionali o preterintenzionali, gli avanzi costituiscono materiale complementare. Per lo studio dell’antichità e dell’alto medioevo sono sicuramente elementi molto preziosi per gli storici;
- gli avanzi linguistici/lessicali, rivelano componenti etnico-culturali nella storia dei popoli. Un esempio è la toponomastica, che rivela nomi di posti e città che richiamano la toponomastica romana, araba ecc., ma anche l’onomastica individuale.
- le tradizioni religiose e popolari, feste particolari o riferite a certi santi piuttosto che ad altri, liturgie, ma anche usi, credenze, fiabe, giochi infantili, leggende, proverbi posso essere avanzi significativi se correttamente interpretati;
- gli avanzi scritti, opere scientifiche e letterarie nelle quali si riflette l’ambiente in cui sono sorte, trattati di medicina, di botanica di retorica, la chansons de geste, la Divina Commedia, il Decamerone. Per i tempi più recenti rientrano anche i films.
Alcune fonti possono racchiudere la
natura intenzionale e quella preterintenzionale nello stesso tempo, e d’altra
parte ogni testimonianza intenzionale ha in sé elementi preterintenzionali. Un
esempio fatto nel testo è quello dell’arazzo di Bayeux, che rappresenta la
conquista normanna dell’Inghilterra con episodi accompagnati da scritte (è
semplicemente un arazzo con scopo ornamentale o nasconde intenti di narrazione
storica?).
Possibilità di errore nella testimonianza
diretta
Sicuramente tale possibilità esiste e viene sperimentata in molti casi. Bisogna distinguere l’alterazione volontaria (in malafede) dall’alterazione involontaria (errori dovuti a distrazione, stati di turbamento o eccitazione).
Sicuramente tale possibilità esiste e viene sperimentata in molti casi. Bisogna distinguere l’alterazione volontaria (in malafede) dall’alterazione involontaria (errori dovuti a distrazione, stati di turbamento o eccitazione).
Possibilità di errore nella testimonianza
scritta
Nel momento in cui vengono trascritte, la testimonianza diretta e quella orale si fissano, creano una nuova verità e forse possono avere conseguenze più gravi rispetto ad un altro tipo di fonte. Con la testimonianza scritta entrano inoltre in gioco altre possibilità di errori: errore di interpretazione di altro materiale scritto utilizzato come fonte, citazioni errate, errori di traduzione, omissioni, errori di scrittura.
Fino all’introduzione della stampa, le fonti scritte erano manoscritte. Perciò uno studioso di storia medioevale che vuole utilizzare un manoscritto come fonte sicuramente deve chiedersi se si trova di fronte ad un autografo o davanti ad una copia, se esistono altre copie e provare a capire quale tra le copie si avvicina di più all’archetipo, all’originale.
Una caratteristica propria delle fonti scritte dal 1455 (invenzione della stampa, Gutenberg) in poi è la possibilità che esse abbiano subito censure o tagli. Fino al 1789, anno in cui si ottiene la libertà di stampa con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, la censura, introdotta già nel 1480 a Venezia colpiva opere considerate pericolose o perniciose dal punto di vista religioso, politico o morale. Questo controllo da parte delle autorità portò alla diffusione di molte copie clandestine delle opere in questione, opuscoli e fogli volanti che oggi fanno parte delle fonti in cui uno storico può imbattersi. Lo studioso modernista, in ogni caso, nel momento in cui vuole utilizzare come fonte un’opera a stampa di cui esiste una sola edizione può farlo senza esitare quando si tratta di un’opera recente, ma nel caso di un’opera antica (pubblicata quando non c’era la libertà di stampa), deve porsi qualche problema. Ossia se si tratta dell’originale dell’autore e se è stata colpita dalla censura.
Per quanto riguarda opere scritte straniere, invece, conviene di regola affidarsi alla edizione in lingua originale, in quanto le traduzioni potrebbero essere viziate, inesatte o non approvate dall’autore.
Nel momento in cui vengono trascritte, la testimonianza diretta e quella orale si fissano, creano una nuova verità e forse possono avere conseguenze più gravi rispetto ad un altro tipo di fonte. Con la testimonianza scritta entrano inoltre in gioco altre possibilità di errori: errore di interpretazione di altro materiale scritto utilizzato come fonte, citazioni errate, errori di traduzione, omissioni, errori di scrittura.
Fino all’introduzione della stampa, le fonti scritte erano manoscritte. Perciò uno studioso di storia medioevale che vuole utilizzare un manoscritto come fonte sicuramente deve chiedersi se si trova di fronte ad un autografo o davanti ad una copia, se esistono altre copie e provare a capire quale tra le copie si avvicina di più all’archetipo, all’originale.
Una caratteristica propria delle fonti scritte dal 1455 (invenzione della stampa, Gutenberg) in poi è la possibilità che esse abbiano subito censure o tagli. Fino al 1789, anno in cui si ottiene la libertà di stampa con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, la censura, introdotta già nel 1480 a Venezia colpiva opere considerate pericolose o perniciose dal punto di vista religioso, politico o morale. Questo controllo da parte delle autorità portò alla diffusione di molte copie clandestine delle opere in questione, opuscoli e fogli volanti che oggi fanno parte delle fonti in cui uno storico può imbattersi. Lo studioso modernista, in ogni caso, nel momento in cui vuole utilizzare come fonte un’opera a stampa di cui esiste una sola edizione può farlo senza esitare quando si tratta di un’opera recente, ma nel caso di un’opera antica (pubblicata quando non c’era la libertà di stampa), deve porsi qualche problema. Ossia se si tratta dell’originale dell’autore e se è stata colpita dalla censura.
Per quanto riguarda opere scritte straniere, invece, conviene di regola affidarsi alla edizione in lingua originale, in quanto le traduzioni potrebbero essere viziate, inesatte o non approvate dall’autore.
Le fonti narrative sono considerate dagli storici non soltanto per quello che narrano ma perché consentono di intuire il contesto in cui sono nate e sono state scritte, l’orientamento culturale dell’autore, i suoi ideali politici, religiosi.
Per il Medioevo, si parla di narrazioni in presenza di cronache, annali e biografie, ma anche agiografie e leggende storiche, due fonti molto difficili da verificare con documenti e avanzi e quindi molto spesso considerati poco attendibili.
Nell’età moderna la storiografia ufficiale nasce, si sviluppa e assume una sua importanza. I sovrani e i capi di stato assumono uomini capaci di scrivere la storia, presentandola sotto la luce più favorevole al sovrano stesso. La storiografia libera, al contrario di quella ufficiale aulica, si caratterizzò per una maggiore vivacità anche nei commenti agli accadimenti. Nel frattempo le narrazioni storiche si arricchiscono e crescono di numero, consentendo allo storico moderno di avere a sua disposizione una enorme quantità di fonti narrative sincrone. Questo facilita sicuramente il suo lavoro.
Sempre in riferimento all’ età moderna e contemporanea fonti tipiche sono le memorie, i diarii, i ricordi di viaggio e le autobiografie, tipicamente narrazioni di chi ha vissuto i fatti in prima persona, da testimone oculare. Gli storici a volte hanno guardato con diffidenza a questo tipo di fonti, preoccupandosi di accertare i fatti e di capire perché l’autore ha scritto quelle memorie, prima di prenderle in considerazione. Potrebbe benissimo accadere di trovarsi di fronte alla narrazione di un autore che avendo vissuto in prima persona certi avvenimenti ne voglia lasciare testimonianza ai posteri per puro interesse storico, ma raramente si verifica questo. Molto spesso i memorialisti avevano l’intenzione di trasmettere il loro punto di vista sulla storia, di influenzare i lettori e di istruirli sulla visione stessa degli eventi e per questo erano spesso portati a deformare la rappresentazione dei fatti. Tra queste fonti, forse i diari sono maggiormente attendibili, in quanto non scritti e pensati per essere pubblicati.
La memorialistica europea nasce in Francia alla fine del XV secolo. Dopo il grande successo ottenuto dalle Memoires di Filippo di Commynes, diplomatico al servizio di Luigi XI e Carlo VIII, la memorialistica diventa un genere storico-letterario largamente coltivato. La tradizione memorialistica degli uomini politici francesi continua fino al XX secolo. Per la Germania, il momento aureo della memorialistica si ha sicuramente con Federico II, autore di memorie politico militari. In Inghilterra nacque al tempo della prima rivoluzione inglese, ricordiamo le memorie di Winston Churchill ai giorni nostri. In Spagna e in Italia la letteratura memorialistica non è mai stata particolarmente brillante. I grandi scrittori come Dante, Petrarca e Alfieri fornirono elementi storici di sfondo alle loro autobiografie, ma nulla di più. Da ricordare Diario delle cose d’Italia di Mecatti che prese parte alla guerra dei Borboni per la conquista del Regno di Napoli. La penuria italiana è probabilmente dovuta ad una ambiente politico-culturale poco vivace e totalmente offuscato dalla potenza dei Paesi confinanti, dalla scarsa risonanza delle questioni religiose. Inoltre i politici e gli uomini di stato che vogliono esprimere il loro punto di vista sulla storia difficilmente si affidano alla memorialistica, preferendo forme più distaccate e aderenti alla tradizione classica (Il principe di Machiavelli, Storia di Guicciardini). Una certa ripresa si avrà con l’occupazione francese del 1796, momento in cui la vita politica italiana conosce un ritmo più intenso.
I giornali sono sicuramente una
fonte tipica dell’età moderna e soprattutto contemporanea. Registrando fatti e
avvenimenti per informare i loro lettori, forniscono materiale prezioso per gli
storici. Il giornale resta comunque un concetto moderno, almeno così come lo
intendiamo noi (ossia raccolta di notizie e commenti alle notizie). Prima di
arrivare ad essere quello che è il giornale ha conosciuto dei modelli
predecessori: durante il medioevo la trasmissione delle notizie era
principalmente orale, tra viandandi, o affidata a corrispondenza epistolare.
Con lo sviluppo dei grandi traffici commerciali gli scambi di notizie si
intensificarono e con il tempo insieme a notizie di natura prettamente
commerciale, i mercanti iniziarono a scambiarsi anche notizie politiche, visto
che la politica stessa poteva influire sul mercato. Parallelamente i sovrani
cercarono informatori segreti e stipendiati per essere sempre aggiornati.
Alla fine del ‘400 si arriva alla redazione di notiziari compilati da specialisti, forniti poi ai loro lettori abbonati. Questa prima forma di giornale prende il nome di “avviso”. Gli avvisi erano foglietti scritti a mano su quattro facciate, molto ricercati da diplomatici, mercanti, uomini si Stato. Presentavano le notizie in modo breve e sintetico, senza alcun commento. Esistevano poi gli “avvisi a stampa” che davano notizie meno urgenti su un avvenimento in particolare (terremoti, scoperte geografiche, epidemie, delitti), descrivendo il tutto in modo più dettagliato e particolareggiato. Spesso provenivano anche dall’estero e riportavano notizie di politica ed economia estera: nel caso italiano alcune città diventavano centro di raccolta e smistamento delle notizie estere a seconda della loro posizione geografica (Venezia per le notizie dall’Oriente, Napoli per quelle dall’Africa, Milano per quelle della Germania e Genova per la Spagna).
Le notizie fornite dai primi notiziari suscitavano sicuramente commenti da parte dell’opinione pubblica, ma questi non poteva essere ufficializzati nel notiziario stesso. Per questo trovano spazio in altri contesti, nelle piazze (ad esempio le pasquinate, a Roma, in via Pasquino/Piazza Navona) o nella letteratura satirica in versi. L’origine del giornale che noi conosciamo è sicuramente connessa a questa letteratura polemica e di propaganda. Le prime gazzette settimanali (gazzetta, termine italiano che deriva dal nome di una moneta veneziana, la gazzetta, che corrispondeva al prezzo di un foglietti di avvisi) che presentavano anche commenti comparvero in Inghilterra al tempo della prima rivoluzione e furono immediatamente ostacolate dal Parlamento, che introdusse molte censure in vigore fino alla fine del 1600. Nel continente bisogna attendere la Rivoluzione francese per leggere i primi notiziari commentati.
Tornando all’utilità del giornale e dei suoi antenati come fonte storica, bisogna ammettere che gli avvisi risultano poco utili allo storico, per la loro forma eccessivamente essenziale e scheletrica. Gli avvenimenti sono raccontati meglio da altre fonti e inoltre gli avvisi non consentono nemmeno di esplorare il contesto della notizia stessa. I giornali moderni, quelli nati dopo la Rivoluzione francese, risultano invece una importante fonte storica. Nella maggior parte dei casi le notizie sono attendibili, attinte dagli uffici stampa governativi o di enti ufficiali, le notizie false sono immediatamente smentite e scartate quindi senza il rischio che possano indurre in errore lo storico. La presenza del commento alle notizie, dell’espressione del punto di vista consentono di conoscere sicuramente l’opinione pubblica del Paese. Per ottenere risultati, lo storico dovrà però considerare più punti di vista e quindi più giornali.
Alla fine del ‘400 si arriva alla redazione di notiziari compilati da specialisti, forniti poi ai loro lettori abbonati. Questa prima forma di giornale prende il nome di “avviso”. Gli avvisi erano foglietti scritti a mano su quattro facciate, molto ricercati da diplomatici, mercanti, uomini si Stato. Presentavano le notizie in modo breve e sintetico, senza alcun commento. Esistevano poi gli “avvisi a stampa” che davano notizie meno urgenti su un avvenimento in particolare (terremoti, scoperte geografiche, epidemie, delitti), descrivendo il tutto in modo più dettagliato e particolareggiato. Spesso provenivano anche dall’estero e riportavano notizie di politica ed economia estera: nel caso italiano alcune città diventavano centro di raccolta e smistamento delle notizie estere a seconda della loro posizione geografica (Venezia per le notizie dall’Oriente, Napoli per quelle dall’Africa, Milano per quelle della Germania e Genova per la Spagna).
Le notizie fornite dai primi notiziari suscitavano sicuramente commenti da parte dell’opinione pubblica, ma questi non poteva essere ufficializzati nel notiziario stesso. Per questo trovano spazio in altri contesti, nelle piazze (ad esempio le pasquinate, a Roma, in via Pasquino/Piazza Navona) o nella letteratura satirica in versi. L’origine del giornale che noi conosciamo è sicuramente connessa a questa letteratura polemica e di propaganda. Le prime gazzette settimanali (gazzetta, termine italiano che deriva dal nome di una moneta veneziana, la gazzetta, che corrispondeva al prezzo di un foglietti di avvisi) che presentavano anche commenti comparvero in Inghilterra al tempo della prima rivoluzione e furono immediatamente ostacolate dal Parlamento, che introdusse molte censure in vigore fino alla fine del 1600. Nel continente bisogna attendere la Rivoluzione francese per leggere i primi notiziari commentati.
Tornando all’utilità del giornale e dei suoi antenati come fonte storica, bisogna ammettere che gli avvisi risultano poco utili allo storico, per la loro forma eccessivamente essenziale e scheletrica. Gli avvenimenti sono raccontati meglio da altre fonti e inoltre gli avvisi non consentono nemmeno di esplorare il contesto della notizia stessa. I giornali moderni, quelli nati dopo la Rivoluzione francese, risultano invece una importante fonte storica. Nella maggior parte dei casi le notizie sono attendibili, attinte dagli uffici stampa governativi o di enti ufficiali, le notizie false sono immediatamente smentite e scartate quindi senza il rischio che possano indurre in errore lo storico. La presenza del commento alle notizie, dell’espressione del punto di vista consentono di conoscere sicuramente l’opinione pubblica del Paese. Per ottenere risultati, lo storico dovrà però considerare più punti di vista e quindi più giornali.
Le fonti documentarie hanno il compito di integrare le fonti
narrative, che come sappiamo vanno verificate. Data l’enorme quantità di fonti
documentarie, le fonti narrative costituiscono il punto di partenza per
iniziare a lavorare su di esse. Essenzialmente rientrano in questa categoria
gli atti e i documenti, diversi tra loro in quanto gli atti sono
le scritture in cui si registra l’attività di un ufficio, mentre il documento è
l’atto finale dell’attività. Atti e documenti sono perfettamente aderenti alla
realtà proprio perché il loro scopo è registrare la realtà, non narrare, e per
questo presentano una maggiore certezza rispetto a tutte le altre fonti e sono
pienamente meritevoli di fede. A seconda del periodo storico di riferimento
esistono fonti documentarie tipiche, mentre alcune caratterizzano
indistintamente tutte le epoche.
Per quanto riguarda il Medioevo, assumono grande importanza, vista la struttura sociale e politica basata su sovrano, suoi rappresentanti, vescovi e abati, i diplomi (documenti emessi in nome del sovrano per concedere benifici, diritti e proprietà a singoli o collettività), carte di franchigia (concessi dal sovrano a grandi signori laici o ecclesiastici, agli abitanti di una città o villaggio per affrancarli da certi obblighi, definire diritti e doveri) i necrologi (elenco delle persone defunte per cui monasteri e chiese pregavano abitualmente, consentono di conoscere notizie relative alla data e alle circostanze della morte), le iscrizioni sepolcrali e commemorative, le matricole (elenchi degli iscritti ad associazioni religiose o artigiane)gli estimi (elenco dei beni posseduti da cittadini e relative tasse da pagare per quei beni), le leggi (i grandi codici come il Corpus Iuris Iustinianei del 534, le leggi barbariche come l’editto di Rotari e l’editto di Teoderico, i Capitolari carolingi, gli Statuti dei comuni italiani, il Curpus Iuris canonici). Nel Medioevo, gli atti sono molto scarsi rispetto ai documenti, fondamentalmente perché assumeva maggiore importanza il documento finale e la parte che ora è affidata agli atti era discussa verbalmente, mettendo per iscritto solo alla fine. Inoltre, i documenti di natura privata relativi a quest’epoca provengono per la maggior parte da amministrazioni ecclesiastiche, che erano in condizioni molto più favorevoli rispetto agli enti laici per conservare i propri archivi, tanto che molti laici affidano ai conventi i documenti da conservare. Le carte laiche arrivano con i registri notarili, quando lo Stato regolamenta l’attività dei notai obbligandoli a fornire copia di tutti gli atti e i documenti che rogano per i loro clienti.
Per l’età moderna e contemporanea, molti dei documenti medioevali ancora in uso sono presi in considerazione ma subentrano nuove categorie di documenti: le corrispondenze diplomatiche (preziose perché ci permettono di conoscere situazioni politiche interne), gli atti delle assemblee parlamentari, i registri doganali, registri anagrafici, libri dei battezzati e dei matrimoni, archivi parrocchiali, archivi di banche e camere di commercio, fondamentali per la storia economica e sociale. Ci sono poi i nuovi tipi di testimonianza offerti dalla tecnica moderna: la fotografia, la cinematografia, la registrazione sonora, i telegiornali, che per loro natura potrebbero avere bisogno di una verifica incrociata con altre fonti prima di essere considerate attendibili.
Per quanto riguarda il Medioevo, assumono grande importanza, vista la struttura sociale e politica basata su sovrano, suoi rappresentanti, vescovi e abati, i diplomi (documenti emessi in nome del sovrano per concedere benifici, diritti e proprietà a singoli o collettività), carte di franchigia (concessi dal sovrano a grandi signori laici o ecclesiastici, agli abitanti di una città o villaggio per affrancarli da certi obblighi, definire diritti e doveri) i necrologi (elenco delle persone defunte per cui monasteri e chiese pregavano abitualmente, consentono di conoscere notizie relative alla data e alle circostanze della morte), le iscrizioni sepolcrali e commemorative, le matricole (elenchi degli iscritti ad associazioni religiose o artigiane)gli estimi (elenco dei beni posseduti da cittadini e relative tasse da pagare per quei beni), le leggi (i grandi codici come il Corpus Iuris Iustinianei del 534, le leggi barbariche come l’editto di Rotari e l’editto di Teoderico, i Capitolari carolingi, gli Statuti dei comuni italiani, il Curpus Iuris canonici). Nel Medioevo, gli atti sono molto scarsi rispetto ai documenti, fondamentalmente perché assumeva maggiore importanza il documento finale e la parte che ora è affidata agli atti era discussa verbalmente, mettendo per iscritto solo alla fine. Inoltre, i documenti di natura privata relativi a quest’epoca provengono per la maggior parte da amministrazioni ecclesiastiche, che erano in condizioni molto più favorevoli rispetto agli enti laici per conservare i propri archivi, tanto che molti laici affidano ai conventi i documenti da conservare. Le carte laiche arrivano con i registri notarili, quando lo Stato regolamenta l’attività dei notai obbligandoli a fornire copia di tutti gli atti e i documenti che rogano per i loro clienti.
Per l’età moderna e contemporanea, molti dei documenti medioevali ancora in uso sono presi in considerazione ma subentrano nuove categorie di documenti: le corrispondenze diplomatiche (preziose perché ci permettono di conoscere situazioni politiche interne), gli atti delle assemblee parlamentari, i registri doganali, registri anagrafici, libri dei battezzati e dei matrimoni, archivi parrocchiali, archivi di banche e camere di commercio, fondamentali per la storia economica e sociale. Ci sono poi i nuovi tipi di testimonianza offerti dalla tecnica moderna: la fotografia, la cinematografia, la registrazione sonora, i telegiornali, che per loro natura potrebbero avere bisogno di una verifica incrociata con altre fonti prima di essere considerate attendibili.
Le scienze ausiliarie
Tra le fonti preterintenzionali utilizzate dallo storico compaiono spesso anche i risultati conseguiti da altre discipline considerate ausiliarie della storia, non di certo inferiori, come la geografia storica, l’archeologia, l’urbanistica, la storia dell’arte, la numismatica (monete), la sigillografia (sigilli), l’araldica (stemmi), la statistica, la demografia, l’economia e la sociologia (per l’età moderna e contemporanea).
Tra le fonti preterintenzionali utilizzate dallo storico compaiono spesso anche i risultati conseguiti da altre discipline considerate ausiliarie della storia, non di certo inferiori, come la geografia storica, l’archeologia, l’urbanistica, la storia dell’arte, la numismatica (monete), la sigillografia (sigilli), l’araldica (stemmi), la statistica, la demografia, l’economia e la sociologia (per l’età moderna e contemporanea).
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